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Il solare verso dove?
Dove sta andando la ricerca nelle tecnologie di trasformazione dell’energia solare del futuro?
Una delle direzioni ha un nome non semplice: ‘perovskite’, un composto organico-inorganico il cui nome designa una vasta classe di minerali, nella cui struttura un atomo di piombo è circondato da molecole organiche azotate. All’inizio degli anni ‘90, nell’ambito delle ricerche sui materiali alternativi al silicio, ci si accorse che questo materiale era in grado di convertire la luce in elettricità, con prestazioni pari a quelle del silicio monocristallino.
Da qui hanno preso avvio gli studi nei laboratori chimici per creare “perovskiti artificiali”, dotate di particolari proprietà elettriche o magnetiche. A rendere questo materiale interessante – secondo quanto affermano i ricercatori in chimica – è il fatto che le celle a perovskite si realizzano con una semplice reazione chimica in acqua fra due componenti molto economici: la metilammina e un sale di piombo. È sufficiente spalmare la soluzione su una lastra di vetro, asciugarla a 75 °C in ambienti normali, e lo strato fotovoltaico è pronto all’uso. La perovskite avrebbe, pertanto, tutto il potenziale di far abbassare ulteriormente e in modo significativo i costi degli impianti solari e dell’elettricità che essi producono e questo potrebbe accadere una volta superati i problemi tecnici che finora ne hanno impedito la diffusione. Il principale di questi è la breve durata nel tempo delle celle realizzate in questo materiale, che si deteriora facilmente a causa dell’incidenza dei raggi UV, della presenza di umidità e delle alte temperature a cui il pannello è sottoposto. È proprio in questi ambiti che alcuni ricercatori italiani e svizzeri (Politecnico di Torino, di Losanna e di Milano) hanno lavorato per creare con successo uno scudo protettivo per la perovskite. I risultati della ricerca sono stati recentemente pubblicati su Science.
Esiste inoltre un dubbio “ambientale”: il piombo è un metallo pesante altamente tossico e potrebbe essere sostituito da un altro materiale come il cesio o lo stagno, nonostante questi metalli siano meno stabili del piombo e riducano la vita della cella. Il piombo che un pannello contiene, tuttavia, è veramente molto poco e proprio per questo, sarebbe sufficiente il riuso di quello contenuto nelle vecchie batterie per auto: un riciclo virtuoso. (Uno studio americano ha mostrato che gli accumulatori nelle discariche di Boston basterebbero a fare tante celle da coprire il 75% dei consumi elettrici cittadini.)
La strada per le celle a perovskite sembra aperta, nonostante esistano opinioni autorevoli meno entusiaste, che vedono ostacoli significativi nel processo produttivo, dal laboratorio all’ingegnerizzazione e nella scarsa predisposizione all’investimento nell’innovazione da parte della classe imprenditoriale, soprattutto italiana.
Secondo alcuni ricercatori del Polo Fotovoltaico della Sicilia, infatti: “la partita sul solare è finita e l’ha vinta il silicio, un elemento abbondantissimo, stabile, atossico e intorno al quale è ormai nata una industria enorme, che ben difficilmente cambierà cavallo adesso. (…) Anche se nel mondo sono molti coloro che lavorano sulla perovskite, hanno un ultimo ostacolo da superare: la verifica della durata del prodotto industrializzato: la reale convenienza delle celle a perovskite sarà evidente o meno quando si proverà ad industrializzarne la produzione”.
Di contro la scuola di pensiero che fa capo ai Politecnici di Torino, Milano e Losanna ha opinioni differenti e ritiene che si sia appena agli inizi nel mercato del solare, sostenendo che occorrano almeno 40 anni per verificare quali siano davvero le tecnologie vincenti. Ci sono infatti casi in cui l’uso del silicio risulta essere meno adatto, come per esempio quando occorre garantire la trasparenza: la perovskite si presta per fare finestre fotovoltaiche, essendo spalmabile in strati più o meno trasparenti, mentre il silicio è opaco e funziona meno in caso di cielo coperto e luce diffusa. In ogni caso, al di là del dibattito intellettuale e della competizione scientifico-tecnologica in atto, tutto il mondo della ricerca e dell’imprenditoria è consapevole di essere alle soglie di un cambiamento epocale: secondo i più recenti studi in materia di energia, ci restano meno di 10 anni per rivoluzionare il sistema energetico. Pochissimo tempo, quindi, prima che una grave carenza di greggio a basso costo metta in crisi l’economia mondiale e provochi tensioni geopolitiche gravissime. La ricerca dovrebbe continuare e concentrarsi soprattutto due fronti: ridurre costi e uso di energia nella fabbricazione delle celle fotosensibili e pensare ai sistemi di accumulo. La questione si focalizza sul come rendere la produzione di energia dal sole continua e stabile e questa è la grande sfida.
